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COPPIA DI FATTO E CONTRATTO DI CONVIVENZA. DI COSA SI TRATTA?


Dopo anni di battaglie, nel 2016 è stata emanata la Legge n. 76/2016 cd. ‘Legge Cirinnà’, che contiene la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze.

Si tratta di una legge epocale, dal momento che, per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana, ha introdotto e conseguentemente disciplinato l’istituto dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, quale specifica formazione sociale.


Tale istituto verrà approfondito dettagliatamente in un prossimo articolo e, in questa sede, ci si occuperà di un altro aspetto innovativo normato dalla suddetta legge, in particolare ai commi 50 e s.s., ossia i contratti di convivenza, attraverso la stipula e la sottoscrizione dei quali è data la facoltà ai conviventi di fatto, non coniugati né uniti civilmente tra loro, di disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune.

Procediamo con ordine.

Innanzitutto, ai fini delle disposizioni contenute nella Legge n. 76/2016 relative alla disciplina delle coppie di fatto, ossia i commi da 37 a 67, si intendono ‘conviventi di fatto’ due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza, sia morale che materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità od adozione, da matrimonio o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso.


La legge in commento stabilisce molteplici diritti e doveri in capo ai conviventi, tra i quali, appunto, la facoltà di disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune mediante la sottoscrizione di un contratto di convivenza.

Quanto ai requisiti indispensabili per la stipula di un valido contratto, il comma 57 della legge 76/2016 stabilisce che: «II contratto di convivenza è affetto da nullità insanabile che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso: a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza; b) in violazione del comma 36; c) da persona minore di età; d) da persona interdetta giudizialmente; e) in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile (tale articolo dispone che “1. Non possono contrarre matrimonio tra loro le persone delle quali l'una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell'altra; 2. Se ebbe luogo soltanto rinvio a giudizio ovvero fu ordinata la cattura, si sospende la celebrazione del matrimonio fino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento”)».

La sopravvenienza di una delle cause di nullità (ad esempio, la dichiarazione di interdizione di uno dei conviventi), ove possibile, estinguerà il contratto di convivenza con efficacia dal momento del verificarsi della stessa.

Quanto alla forma, il comma 51 stabilisce che il contratto di convivenza, le sue modifiche e la sua risoluzione devono essere redatti in forma scritta, a pena di nullità, mediante atto pubblico notarile o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o un avvocato, che hanno il compito di attestarne la conformità alle norme imperative ed all’ordine pubblico.

È necessaria, invece, la forma dell’atto notarile per gli eventuali contratti collegati al contratto di convivenza che prevedano il trasferimento di diritti reali immobiliari, in conformità quanto disposto dal comma 60.

Ai fini dell'opponibilità del contratto di convivenza ai terzi, il comma 52 stabilisce che sarà compito del professionista a cui la coppia si è rivolta, ossia o notaio o l’avvocato, trasmettere entro 10 giorni una copia del contratto di convivenza al Comune di residenza dei conviventi, al fine di procedere all’iscrizione all’anagrafe dello stesso.

Posto quanto su evidenziato, va da sé che la parte più importante della disciplina in esame sia, senz’altro, quella relativa al contenuto del contratto di convivenza.

Esso, infatti, può contenere:

a) l'indicazione della residenza;

b) le modalità di contribuzione di ciascun convivente alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno ed al lavoro svolto, anche casalingo;

c) il regime patrimoniale della coppia.

Quanto a quest’ultimo aspetto, i conviventi potranno scegliere di optare per la comunione legale dei beni, per la separazione legale dei beni o per una comunione convenzionale, analogamente a quanto stabilito nel codice civile circa il regime patrimoniale in sede di matrimonio.

Ai conviventi, tuttavia, è riservata una maggiore libertà di modifica del regime patrimoniale scelto, in quanto potenzialmente modificabile in qualunque momento nel corso della convivenza, mediante atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato.

Analogamente alla disciplina relativa al matrimonio, poi, è stato espressamente previsto, al comma 56, il divieto assoluto di sottoporre il contratto di convivenza a termine o condizione, da intendersi come non apposti qualora venissero comunque inseriti nel contratto medesimo.

Da ultimo, in ordine alla risoluzione del contratto di convivenza, il comma 59 dispone che questo possa risolversi in quattro casi:

a) accordo delle parti;

b) recesso unilaterale di uno dei conviventi;

c) matrimonio o unione civile tra persone dello stesso sesso o tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;

d) morte di uno dei conviventi.


Come accade in caso di separazione personale dei coniugi e di divorzio, anche in caso di cessazione della convivenza di fatto è stato previsto, al comma 65, il diritto del convivente di ricevere dall'altro gli alimenti, nel caso in cui fosse in stato di bisogno e non in grado di provvedere al proprio mantenimento e sostentamento.

In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ex art. 438 c.c., che prevede che gli stessi «devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell'alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale».

I contratti di convivenza sono uno strumento giuridico che non andrebbe sottovalutato, dal momento che nascono per individuare regole di gestione della vita comune nell’ottica di tutelare i diritti dei conviventi e chiarirne i doveri, ma possono essere usati, altresì, anche per disciplinare le conseguenze patrimoniali della cessazione della convivenza, stabilendo in accordo come si dovrà affrontare e risolvere un possibile futuro disaccordo, aspetto questo che dovrebbe essere valorizzato, soprattutto in caso di presenza di figli minori.

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