L’attuale emergenza sanitaria sta creando disagi su più fronti. Il prolungarsi dell’incertezza della situazione eccezionale che stiamo vivendo ha avuto, inevitabilmente, gravi ripercussioni anche sulla salute mentale delle persone, soprattutto le più fragili, costrette ad affrontare molto spesso in solitudine ansie e paure. L’isolamento sociale, per quanto necessario a contenere la diffusione del coronavirus, ha aggravato in moltissimi casi patologie già esistenti, anche in ragione del fatto che la drastica riduzione delle attività connesse al lockdown ha reso difficile la gestione dei percorsi di cura dei pazienti. Negli ultimi giorni, in particolare, si sono succeduti diversi articoli di giornali in cui si è parlato dell’impennata senza precedenti dei trattamenti sanitari obbligatori.
Ma cosa si intende per ‘trattamento sanitario obbligatorio’?
Procediamo con ordine.
Innanzitutto, per ‘trattamento sanitario obbligatorio’, più comunemente noto come T.S.O. e disciplinato dalle leggi n. 833/1978, n. 180/1978 e dall’art. 21 d.l.g.s. 150/2011, si intende una particolare situazione di emergenza nella quale una persona viene sottoposta a cure mediche contro la sua volontà. In linea di principio, infatti, gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono volontari: nessuno può essere sottoposto a visite mediche o a ricovero ospedaliero contro la propria volontà, in forza di quanto sancito dall’art. 32 della Costituzione, che vieta i trattamenti sanitari obbligatori, consentendoli solo ed esclusivamente nelle ipotesi previste dalla legge.
Si può essere ricoverati coattivamente solo in presenza di determinate condizioni, con l'osservanza di precise garanzie e solo in strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate.
Nei casi previsti dalla legge, possono essere disposti dall'autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori nel rispetto della dignità delle persone e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione, compreso, per quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura.
In particolare, il trattamento sanitario obbligatorio – disposto nella stragrande maggioranza dei casi in presenza di una malattia mentale grave - può avvenire in condizione di degenza ospedaliera solo laddove vi siano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, con contestuale rifiuto del soggetto interessato a sottoporsi volontariamente a tali trattamenti e qualora non vi siano le condizioni che consentano di adottare tempestive e idonee misure sanitarie extraospedaliere.
Di fatto, il T.S.O. viene messo in atto quando una persona viene ritenuta pericolosa per sé stessa o per gli altri, in quanto ad esempio minacci il suicidio, o minacci o realizzi lesioni a cose e/o persone, oppure rifiuti di comunicare e finisca per isolarsi, rifiutando altresì terapie o cibo. In concreto, può accadere che una persona disturbata psichicamente, o un tossicodipendente in crisi di astinenza oppure un alcoldipendente assumano dei comportamenti imprevedibili o violenti, impossibili da gestire e contenere, tanto da spingere i familiari conviventi o anche semplicemente dei conoscenti a chiedere aiuto allo psichiatra curante, piuttosto che a chiamare direttamente una ambulanza o addirittura le autorità, come i carabinieri.
Ovviamente, data la delicatezza della questione e dei diritti fondamentali in gioco, la legge prevede una procedura ad hoc che deve essere seguita scrupolosamente.
Il trattamento sanitario obbligatorio è disposto con provvedimento del Sindaco del Comune di residenza (o del Comune dove la persona momentaneamente si trova), nella sua qualità di autorità sanitaria locale, solo in presenza di due certificazioni mediche attestanti che la persona si trovi in una situazione di alterazione tale da necessitare di urgenti interventi terapeutici, che rifiuti gli interventi proposti e che non sia possibile adottare tempestive e idonee misure extraospedaliere.
Queste tre condizioni devono necessariamente essere presenti contemporaneamente e devono essere certificate da un primo medico, che può essere il medico di famiglia o lo psichiatra curante, ma anche un qualsiasi altro medico come ad esempio il medico del pronto soccorso, e successivamente convalidate da un secondo medico, che deve appartenere alla struttura pubblica, generalmente uno psichiatra della ASL locale di riferimento.
Le certificazioni, oltre a contenere l’attestazione delle condizioni suddette che giustificano la proposta di T.S.O., devono motivare, anche brevemente, la necessità concreta ed effettiva di attivare tale trattamento.
Ricevute le certificazioni mediche, il Sindaco ha 48 ore per disporre, tramite un’ordinanza, il T.S.O. facendo accompagnare la persona dai vigili e dai sanitari presso un reparto psichiatrico di diagnosi e cura. In un primo momento, la persona viene invitata a seguire vigili e sanitari nel reparto ospedaliero e, in caso di rifiuto, viene prelevata con la forza e trasferita in ambulanza presso il nosocomio.
Il Sindaco ha l’obbligo, poi, di inviare l’ordinanza al Giudice Tutelare del Tribunale locale entro le 48 ore successive al ricovero, affinché, assunte le necessarie informazioni, esso lo convalidi o lo rigetti entro le 48 ore successive. In mancanza di convalida, il provvedimento di T.S.O. decade. Il Giudice Tutelare può anche non convalidare il provvedimento, così annullandolo.
Il T.S.O. ha per legge la durata di 7 giorni, al termine dei quali, qualora non sia stata presentata dallo psichiatra del servizio una richiesta di prolungamento, il trattamento terminerà. In tal caso, lo psichiatra - non necessariamente lo stesso che ha proposto e convalidato il T.S.O. - dovrà comunicare al Sindaco la cessazione delle condizioni richieste per l’internamento, che a sua volta dovrà informare il Giudice Tutelare.
Qualora si rendesse necessario prolungare il trattamento, entro la scadenza dei 7 giorni dovrà essere comunicata al Sindaco una richiesta motivata di prolungamento. Entro 48 ore dal ricevimento della richiesta, verrà firmata a nome del Sindaco o di un suo delegato l’ordinanza di prolungamento, che dovrà essere notificata al Giudice Tutelare entro le 48 ore successive. Il Giudice, a questo punto, potrò convalidare o meno il provvedimento di prolungamento del trattamento sanitario obbligatorio, comunicando la propria decisione al Sindaco.
Analogamente, il sanitario deve comunicare eventuali modifiche sulla necessità e sulla praticabilità del trattamento, a seconda dell’evolversi del caso di specie.
Una volta venuto meno il T.S.O. per scadenza dei termini, la persona potrà chiedere di essere dimessa in ogni momento e tale richiesta dovrà essere esaudita, dal momento che nessuno può essere trattenuto contro la sua volontà presso strutture sanitarie o nei reparti psichiatrici di diagnosi e cura, a meno che non sia soggetto ad un provvedimento di T.S.O. pendente.
Quanto alla richiesta di revoca e modifica del provvedimento di T.S.O., essa può essere avanzata da chiunque – compresa la persona sottoposta al trattamento, un congiunto o un estraneo – ed indirizzata al Sindaco, che deve pronunciarsi entro e non oltre i successivi dieci giorni. La sua decisione deve essere comunicata al Giudice Tutelare per la eventuale convalida negli stessi tempi e nelle stesse forme sopra dette.
È prevista, inoltre, anche una tutela giurisdizionale: chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio e/o chiunque vi abbia interesse, infatti, può proporre al Tribunale un ricorso contro il provvedimento convalidato dal giudice tutelare. Nel processo davanti al tribunale, inoltre, le parti possono stare in giudizio anche senza il ministero di un difensore e possono farsi rappresentare da una persona munita di apposito mandato, scritto in calce al ricorso o in un atto separato. Il ricorso può essere presentato al Tribunale anche mediante raccomandata con avviso di ricevimento. In tali casi, il Presidente del Tribunale fissa l'udienza di comparizione delle parti con decreto in calce al ricorso che, a cura del cancelliere, viene notificato alle parti, nonché al pubblico ministero.
Il Presidente del Tribunale, poi, acquisito il provvedimento che ha disposto il trattamento sanitario obbligatorio e sentito il pubblico ministero, può sospendere il trattamento medesimo anche prima che sia tenuta l'udienza di comparizione. Sulla richiesta di sospensione il presidente del Tribunale provvede entro dieci giorni. In ogni caso, il Tribunale provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, dopo aver assunto informazioni e raccolte le prove disposte d'ufficio o richieste dalle parti.
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